continuando: “Forse io voglio farmi una famiglia, non posso farlo quando avrò più di
30 anni!” Mi ammorbidisco e aggiungo che sembra proprio che sia in un fase di gran
confusione, ma il problema è forse in questa impossibilità di tollerare che nel fare una
scelta debba anche fare una rinuncia.
A settembre 2011 abbandona lo studio dell'avvocato perché gli zii le hanno trovato un
posto in un Ministero: contratto a tempo indeterminato, ottimo stipendio, orari che le
lasciano lo spazio per dedicarsi alle sue amiche e a Pippo, il gattino che da 1 anno è
entrato nella sua vita e che insieme abbiamo pensato come una parte piccola, infantile
di Sé. Ma ecco che si dibatte nel conflitto, per lei dilaniante, tra sentire come
irrinunciabile lasciare il posto al Ministero e il continuare, come hanno suggerito gli zii,
pensando a quello che è il suo prossimo futuro. Io mi trovo nella scomoda difficoltà di
pensarla come gli zii, ma di percepire chiaramente il bisogno di B. di sentirsi capita e
appoggiata nella speranza che, perseguendo il suo amore per “il diritto penale”, possa
raggiungere quell'Ideale di Sé consolidato dopo la morte del padre. Si arrabbia molto
con me quando sposto la sua attenzione dal piano concreto alla ricerca e
comprensione dei suoi bisogni affettivi e inconsci piuttosto che quelli razionali a cui
caparbiamente si attacca. “Non posso rinunciare ai miei anni di studio ... questo lavoro
non mi piace ... il direttore dice le cose in malo modo ... mi tratta come una stupida.”
L'atteggiamento di B., come lei me lo propone, è effettivamente così disinteressato e
svalutante rispetto al suo lavoro che immagino davvero che lei incorra in errori e
disattenzioni che la fanno apparire un po' sciocca. Ripenso a ciò che mi riportò di una
sua professoressa che al liceo rivolgendosi a lei disse: “Sarai pure carina ma sei
un'ochetta”. Molto in B. è agito invece nel bisogno di liberarsi dell'immagine della bella
e imbambolata bambina che portava tutti a cercare di sottometterla ed usarla,come se
non avesse bisogno e desideri suoi. In numerose sedute successive affronto
ripetutamente con lei quelle che le propongo possibili cause di questo suo bisogno di
lasciare il lavoro: la sensazione di sperimentarsi come svalutata perché il suo
narcisismo le fa giudicare tutto in modo svalutante, il suo bisogno di liberarsi da una
situazione che la fa sentire controllata e non controllante, chiudersi e proteggersi per
mantenere in fantasia l'idea di essere ancora un adolescente e non scontrarsi così con
le inevitabili frustrazioni di un mondo adulto,occuparsi di “diritto”. Dice: “Io sono stata
fuorviata da dopo la laurea dal desiderio di costruirmi una famiglia (interpretazione
passata e accolta!). Cercavo il posto fisso per accelerare i tempi di questa
realizzazione, ebbene, mi sono sbagliata, non voglio rinunciare alla possibilità di fare
l'avvocato!”, mi dice arrabbiata. L'opposizione di tutti, me compresa, non solo la fa
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