allontanamento la porta a litigare con l'amica, fino a chiudere ogni rapporto,
lasciandola però con un senso profondo di nostalgia e rabbia. C'è in lei una
componente vendicativa verso chi teme l'abbandoni, della quale ancora non posso
parlare (siamo solo al primo anno di analisi), che ha un nucleo nella rabbia verso il
padre. Lui, così assorto nel suo dolore, così “cieco” alle sofferenze di B… Ma, anche a
causa di questo bisogno di legami stretti e indissolubili finisce spesso per
“schiavizzarsi” nelle amicizie. Con ognuna B. stabilisce una relazione tale per cui, se
pur problematica e per lei motivo di dispiacere e di critica, la tenerezza e un dover
sempre cercarne una giustificazione le fanno scusare anche atteggiamenti
decisamente antipatici e a volte anche disturbati.
Tanti sono i sogni ma il tema è ripetitivo: in genere è circondata da un pubblico, a
volte queste persone provano ammirazione per lei, in altri rivede la casa dei genitori;
in tutti, però, qualcuno le si avvicina e cerca di ucciderla (pistole, coltelli). Allora io
comincio a parlarle di quanto spaventoso possa essere il senso di un qualcosa che
internamente è spinto dal bisogno di spegnere e aggredire ciò che un'altra parte di Sé
vuole mantenere vitale e ancora speranzoso di poter cedere ai propri desideri senza
che essi vengano mortificati o percepiti come “cattivi”.
In alcune sedute mi parla dei suoi rituali ossessivi, fin da piccola, saltuari e non
invalidanti fino a quando, dopo la morte del nonno divennero invece così frequenti e
impegnativi che esasperata decise di dovervi fare a meno. Parliamo dell'utilità psichica
di questi rituali. Siamo ormai al secondo anno di analisi e c'è un po' più di spazio per
poter fare un passaggio dal concreto allo psichico. B. si fida di più di me, si sente
libera di controllarmi, le riconosco e le confermo la veridicità delle sue percezioni, così
può accettare che i suoi rituali avessero il senso di controllare la sua ansia da
separazione e di conseguenza anche l'insorgere di spinte rabbiose.
In una seduta mi porta tante fotografie che la ritraggono in momenti della sua vita:
“Lo vede che aria distratta che ho?” E' un modo, penso, con cui mi mostra quel suo
proteggersi da un “fuori” percepito come invalidante ma anche ostile. “Doveva sentirsi
sola e spaventata mentre la ritraevano in queste foto”, dico, cercando di aiutarla a
dare un nome all’emozione che c’è dietro quello sguardo assente. In altre sedute mi
ritrovo a darle ricette di cucina per preparare la sua cenetta a L. o a suggerirle il
supermercato più vicino a studio.
A volte accade che mi racconti le bugie che dice per non andare dal parente avvocato
dove fa praticantato: è scontenta, le viene chiesto di fare lavori di segreteria. Questo
le è insopportabile, si sente sfruttata e sottovalutata. Insieme affrontiamo il senso
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