volta che sente che qualcosa le piace comincia a temere di diventare schiava dei suoi
bisogni, entra in contatto con qualcosa di Sé che è percepito come sbagliato, rasente il
punto di rottura del controllo e rischioso di un perdersi ed andare in pezzi. Siamo
all'inizio del nostro terzo anno di analisi.
Mi dice ancora che ciò che le accade la preoccupa perché lei è una persona che si
controlla per un certo periodo e poi esplode. La vedo e la sento in tutta la sua fragilità
suscitandomi un profondo senso materno: B. lo coglie perché mi segue con fiducia in
quello che io le dico o su cui la chiamo a riflettere. Si è sentita troppo spesso trattata
come una sciocca ed un'ochetta. Spesso, infatti, le sue azioni reattive o la mancata
osservanza delle norme sono determinati da un suo temere di essere svalutata ed
umiliata, trattata da incapace, in modo tale che le si debba ordinare di assoggettarsi.
Io cerco di trasformare tutto ciò riportandola più vicino a quello che è il suo sentire:
“Sembrerebbe comportarsi come un'adolescente in cerca di emozioni” le propongo. In
quest’ultimo periodo abbiamo più volte osservato come l'entrata in un mondo adulto,
fatto di doveri, sia per lei fonte d'inquietudine. Conferma aggiungendo che lei nel suo
intimo si sente ancora come una liceale e vorrebbe vivere secondo questo stile. Per
esempio a volte le capita di preferire di stare con le sue amiche a parlare piuttosto che
uscire con L… Mi sorride ammiccante e la mia risposta è un sorrisetto di assenso e così
arriva la risata liberatoria di B. In questo scambio di sguardi e ammiccamenti si
stabilisce tra noi una complicità e una legittimazione del suo desiderio di vivere ancora
un'adolescenza che in qualche modo sente le è stata vietata. E' come se B. non si
autorizzasse a stare dalla parte del buono perché in lei è inconsciamente presente una
Sé colpevole, omicida, ma anche vittima, e quindi giustificata nel suo essere ribelle e
nel difendersi con ogni mezzo.
In un'altra seduta arriva, ancora una volta, con aria stanca e lamentosa. E' frustrata
da come la trattano a studio,non le insegnano nulla. “Ho deciso, voglio lasciare lo
studio!”. Il suo sogno è quello di diventare un famoso avvocato penalista. Più volte ci
siamo trovate d'accordo nel dare senso al suo progetto come un modo che sia
rappresentativo del suo bisogno di difendere quella parte di Sé che è ritenuta
colpevole senza aver potuto spiegarsi, senza che nessuno le abbia dato attenzione
comprendendo il suo dolore e le sue paure. Comincia a protestare, come se le mie
spiegazioni le consentissero di esplicitare la rabbia: non è una scansa fatiche, è che
non sa bene cosa vuole fare. Parla di orari, doveri, tempi troppo lunghi. Intervengo in
modo reattivo mostrandole passo per passo e di volta in volta tutte le sue
contraddizioni. E' irritata: “Come e possibile che non riesca a spiegarmi?” mi dice, e