interpretazioni implicite o al servizio dell'interpretazione, considerava cioè la self
disclosure una variante dell'azione interpretativa.
La maggior parte degli autori che si interessano a questo argomento sono concordi nel
ritenere che tale pratica non deve essere prescrittiva, ma deve essere l'analista a
decidere o no di utilizzarla, secondo la propria personalità e la valutazione della
situazione clinica.
Viceversa O. Renik , che è l'autore forse più radicale in questa direzione, considera la
self disclosure non una decisione strategica ma un atteggiamento analitico normale.
Per lui il lavoro clinico migliora quando l'analista assume come norma la self
disclosure perchè solo in questo modo si giunge ad una maggior collaborazione, in un
clima reciproco di spontaneità. Non si può richiedere franchezza al paziente se
dall'altra parte c'è un analista che si nasconde. Egli comunica costantemente al
paziente il suo punto di vista e l'aspetto soggettivo della sua partecipazione , senza
operare selezioni né mantenere, come consiglia Jacobs, una relativa neutralità. Ma
occorre molta disciplina, sostiene Renik, nel giocare a carte scoperte e occorre fare i
conti con la propria vulnerabilità “ una scelta coraggiosa a favore del paziente e a
discapito dell'analista” scrive Renik.
Questa situazione che si interfaccia fra il mantenere contemporaneamente
l'autodisciplina e la spontaneità nell'attuare una self disclosure, viene ripresa da
Hoffman che insiste nella dialettica fra l'accettazione dell'autorità rituale e
dell'anonimato da un lato e la deviazione spontanea, inclusa la self disclosure , da quei
rituali dall'altro. Tale dialettica paradossale può creare una nuova sensibilità, una
nuova attenzione piuttosto che un nuovo insieme di regole.
Un altro autore che considera la self disclosure fondamentale nel lavoro analitico è
Bromberg. Egli collega strettamente l'enactment alla dissociazione, l'enactment è
l'unico modo che un paziente traumatizzato ha per comunicare gli aspetti dissociati
della sua personalità diventati irraggiungibili in altro modo. Scrive Bromberg “ Nel
corso del processo analitico una parte considerevole del lavoro consiste nel trovare le
parole per mettere sul tavolo la propria esperienza agita in modo che promuova la
capacità del paziente di fare altrettanto” La self disclosure dell'analista diventa quindi
parte essenziale della negoziazione analitica. E' importante notare che per Bromberg
lo svelamento è riferito solo a esperienze emotive dell'analista legate alla situazione
intersoggettiva, non alla propria biografia.
In contrapposizione a Bromberg, Mitchell osserva che la self disclosure potrebbe in
certi casi invece aumentare la dissociazione, se l'aspetto del terapeuta comunicato
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