AFFETTI D’ODIO: TRA IL GUARDARE E IL NON ESSERE VISTI
Carlo Carapellese
parole chiave
intersoggettività; campo e terzo intersoggettivo; scene modello; aggressività reattiva; enactment,
impasse; mentalizzazione; esperienza non formulata; autoregolazioni e regolazioni reciproche; sguardo,
alienità e alterità.
“Alle difficoltà dello spazio che si esplora, probabilmente si aggiungono
sempre le goffaggini e le lentezze dell’esploratore” (E.Levinas, p. 10)
1.Introduzione
Questa comunicazione si interroga sulle auto - e mutue - regolazioni e sui percorsi
interattivi capaci di stemperare stati del sé sostenuti dall’odio (o da affetti ad esso
correlati, quali: rancore, rabbia, malevolenza, disprezzo, invidia, gelosia,
vendicatività) e si colloca nella cornice più ampia di una riflessione
sull’intersoggettività. Viene proposta in continuità con considerazioni da me già svolte
in precedenti occasioni sul tema della psicoterapi
a
i
intesa come impresa volta alla
costruzione di una relazione tra soggetti. “Il soggetto, una cosa complessa, di cui è
difficile parlare e senza la quale non possiamo parlare” (M.Foucault, 1994, p. 246).
2. Il pre-testo clinico di questa riflessione sull’odio.
La riflessione clinica sull’odio presentata in questo contributo prende spunto dalle
vicende occorse a chi scrive e al paziente, entrambi impegnati in una psicoterapia
apparentemente ben avviata, ma interrotta dopo alcune sedute.
Qualche tempo dopo l’interruzione, lo psicoterapeuta viene fatto oggetto di inquietanti
minacce, che gli giungono attraverso lettere anonime. E per lungo tempo l’identità del
i
Questa comunicazione mi offre l’opportunità (come due anni fa, proprio a Milano) per tornare a riflettere
sulla psicoterapia intesa come impresa di decostruzione del pensiero dicotomico o, meglio, di costruzione
di un pensiero dialettico, che, al posto degli o/o, introduce il tentativo di porre degli e … e. In questo
senso la psicoterapia si viene a costituire come arte di negoziazione di paradossi all’interno di un processo
relazionale già, di per sé, paradossale e intimamente conflittuale.
Lo scorso anno, a Roma, ho avanzato critiche anche verso un pensiero di stampo troppo deterministico in
psicologia dello sviluppo, proponendo l’idea dei “sé adolescenziali emergenti”, ovvero l’opportunità di
intendere l’adolescenza un’epoca evoluzionisticamente (oltre che biologicamente e psicologicamente)
preposta all’emergere di nuove organizzazioni di sé.
Avendo in mente le vicende cliniche alla base della riflessione teorica che viene presentata in questo
contributo, ebbi allora modo di dire che: “i sé emergenti avrebbero anche potuto non piacerci”.
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