Ristabilire la capacità di stare in relazione col bambino o la bambina che gioca nel
profondo della personalità dell’adulto - come dicono Kohut (Strozier, 2001; pag.192
tr. It.) e Winnicott (Winnicott, 1971 pag. 119) - che permette di colorare con
freschezza il proprio atteggiamento verso il mondo e avere la sensazione che la vita
valga la pena di essere vissuta.
Il primo sogno portato da Caterina - depressa dalla morte della madre che le
aveva inculcato fin da piccola un forte senso del dovere e delle responsabilità, ma era
anche il testimone principale di una vita creativa e movimentata, oltre che il fulcro su
cui si teneva una situazione familiare difficile - rappresenta drammaticamente il
tentativo di riconnettersi alle fonti della propria vitalità insieme alla configurazione di
pattern ripetitivi traumatici e al senso di non coordinazione dei ritmi biologici e
catastrofe imminente prodotto dall’ansia depressiva: “Sono in una piazza vuota, buia,
ho un vestito bianco lungo e cammino veloce… ma poi mi rendo conto che sotto la
gonna c’è un bambino piccolo che cerca a fatica di stare al passo… (prima che possa
prenderlo) …cade e rotola giù nella discesa… non riesco a raggiungerlo… si sfracella…
è un feto in un barattolo che implode su se stesso…”
Nel particolare incontro tra soggettività che è il processo terapeutico, stare in
relazione con quelle persone che per adattarsi al proprio contesto di esperienza hanno
dovuto, in svariati modi, esasperare il conflitto tra l’ “essere distinti da” e lo “stare
insieme a” - non potendo così usufruire, loro malgrado, delle possibilità offerte, in
termini di modulazione e trasformazione degli affetti, da una relazione più armonica
con se stessi e con gli altri - comporta dare specifica importanza alla dimensione
intersoggettiva, al dialogo non verbale e para-verbale (relativo al ritmo e alla
prosodia) che permette al paziente e al terapeuta di entrare reciprocamente in
contatto affettivo, riconoscendo e rispettando allo stesso tempo la dimensione
individuale, quello stile personale e unico di auto-regolarsi, auto-correggersi e auto-
organizzarsi stando in relazione con l’altro.
Promuovendo così la costruzione di un contesto relazionale affettivamente
connotato che possa permettere - in un intreccio tra processi impliciti e processi
espliciti di esplorazione e riflessione verbalizzata - di trasformare l’esperienza affettiva
di entrambi i partecipanti (Lachmann, 2008), ampliandone la visione di Sé e del
proprio essere nel mondo.
Sintonizzarsi creativamente col mondo di esperienza affettiva del paziente
attraverso il proprio mondo di esperienza, per allentare la presa dei vecchi
automatismi e costruire insieme qualcosa di nuovo, comporta, inoltre, coltivare una
sensibilità clinica pronta non solo a riconoscere e sostenere ma anche a promuovere le
spinte evolutive del paziente emergenti nel processo terapeutico.
Una disposizione clinica che consenta di connettersi empaticamente non solo
con il vissuto esplicitato dal paziente nel qui e ora della seduta, quanto anche con i
bisogni evolutivi implicitamente espressi in tale vissuto.
Un attitudine che, nella dialettica tra stabilità e cambiamento, favorisca
l’emergere di soluzioni inaspettate e originali alle impasse che inevitabilmente si
presentano nel processo di negoziazione di un nuovi adattamenti reciproci.
Come dice Mitchell: “Al centro del lavoro psicoanalitico c’è l’esperienza vissuta
dei limiti, dello scoprirsi all’interno dei confini delle dinamiche del paziente, che
sempre riecheggiano con caratteristiche complementari le dinamiche dell’analista.
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